Storia di Alice (parte 3)
In un istante Jasper fu accanto a lei: “Hai bisogno di un aiutino amore mio?”, la guardava intensamente, come quando cercava di cambiare l’umore delle persone. Subito Alice tornò a sorridere e ricompensò il suo innamorato con un bacio prima di ricominciare con un sospiro il suo triste racconto.
"Quella sera, indovina un po’, Cynthia mi aveva portato, assieme ai nostri genitori, ad un’altra festa in cui mi annoiavo a morte finché non scorsi il viso sorridente di Charles.
Lo stavo raggiungendo tra la folla di invitati quando, all’improvviso, le decorazioni e i bei vestiti che mi circondavano sparirono dalla mia vista e, al loro posto, arrivò una visione chiara come mai ne avevo avute prima. Era terribile: il lampadario d’epoca che illuminava la sala da ballo era vecchio e mal messo, si sarebbe staccato dal soffitto e avrebbe travolto il padrone di casa che sostava in chiacchiere proprio lì sotto.
Invertii subito la rotta, mi precipitai al centro della sala e strattonai per un braccio lord Preston, il proprietario della villa, supplicandolo i allontanarsi da lì. Lui mi guardò in cagnesco, dopotutto chi era una ragazzina come me per permettersi di aggredirlo in quel modo. Fu così che, esasperata, urlai le parole che probabilmente mi condannarono alla reclusione; ‘Se non mi ascolta allora morirà!!’ Poi ebbi solo il tempo di realizzare che tutti mi stavano guardando prima che il destino si compiesse scatenando l’inferno…
Quando mi risvegliai ero nel mio letto e sentivo delle voci provenire da fuori: ‘Signor Brandon lei non può restare impassibile dopo che sua figlia ha fatto una cosa simile!’, ‘Signor Brandon lei deve prendere dei provvedimenti!’, e la voce falsamente preoccupata di mia madre: ‘Caro devi renderti conto che nostra figlia deve farsi curare, non è più in una situazione normale, ha superato i limiti!’.
Non ci potevo credere, pensavano che avessi causato io il disastro! Credevano che fossi una pazza con poteri paranormali? Purtroppo non ebbi che qualche ora per riflettere, poiché quella stessa notte entrarono nella mia stanza due bestioni vestiti di bianco che mi trascinarono urlante in una carrozza con le sbarre. Potei vedere fugacemente mia madre e mia sorella che mi guardavano orripilante come se fossi chissà quale mostro assatanato; vidi anche mio padre, il suo viso era una maschera di dolore, non era stato abbastanza forte da opporsi al mio internamento, era un debole, come avevo immaginato. Quella fu l’ultima volta che vidi la mia famiglia.
La carrozza si diresse verso la periferia della città, percorrendo strade sempre più strette, buie e sudice, e quando finalmente si fermò stavo morendo di freddo a causa degli spifferi.
Mi fecero smontare a forza in un cortile grande e spoglio, senza l’ombra di un albero o di un fiore, sovrastato da un’enorme costruzione austera e quasi spettrale.
Appena entrata mi spinsero rudemente in una stanza e lì fui raggiunta da un uomo in camice e da un altro bestione in bianco che reggeva una pila di coperte e stracci.
L’infermiere appoggiò il pacco a terra e uscì lasciandomi sola col dottore il quale mi disse queste parole: ‘E così abbiamo un nuovo corpicino privo di cervello eh? La tua cartella dice che ti chiami Mary Alice Brandon, ma qui nessuno ti chiamerà così, tu, da ora in poi, sarai 441. Io invece sono il dottor Edwards e dentro questa struttura sono il capo, dunque tu devi fare sempre quello che ordino.
La cartella dice anche che sei pericolosa e che hai quasi ucciso un uomo, ma qui faremo in modo di renderti inoffensiva.’
Con un sorriso cattivo indicò la pila di stracci e disse che erano i miei nuovi vestiti,
Dopo questo discorsetto che somigliava ad una presa in giro spaventosa uscì ordinandomi di cambiarmi d’abito e avvisandomi che due minuti dopo mi avrebbero portato nella mia cella
Non riuscivo a capacitarmi di quello che mi stava succedendo, come avevano potuto i miei familiari rinchiudermi in un posto simile? Nonostante il senso di vuoto che mi attanagliava lo stomaco riuscii ad infilarmi in quell’orrendo sacco che costituiva il mio nuovo abito e subito dopo entrò l’infermiere che mi condusse per lunghissimi corridoi, dalle cui pareti sembravano uscire urla e lamenti strazianti, fino ad una porta di legno con scritto 441.
Mi gettò lì dentro e con una risata crudele e priva di allegria mi schernì: ‘Benvenuta in manicomio principessina!!!’
La testa mi girava e il respiro mi usciva a sbuffi veloci e irregolari, le gambe mi tremavano talmente tanto che caddi in ginocchio sul pavimento sudicio, infine, vinta dal dolore e dalla consapevolezza di essere sola al mondo, mi accasciai in lacrime e piansi finché, sfinita, mi addormentai
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