giovedì 8 luglio 2010

Storia di Alice scritta da...Alice [AGGIORNATO]

 "Oh Bella, è grazie a te e alle tue preziose informazioni se oggi conosco finalmente il mio passato, la mia vita umana, e posso collegarla alle mie esperienze d vampira."


Quelle parole mi lasciarono basita. Davvero Alice aveva ricostruito la sua intera vita solo con le poche informazioni che ero riuscita, tra dolore e paura, ad apprendre da James? Allora ero ancora debole e umana e il mio Edward non era ancora io marito...che brutti ricordi!

La mia sorella preferita stava seduta di fronte a me sul tappeto di casa Cullen mentre il resto della nostra famiglia era occupata con i soliti passatempi serali: Esme canticchiava un motivetto mentre tratteggiava lo schizzo di un appartamento; Carlisle, come al solito, leggeva un grosso volume; Emmet tentava invano di battere mio marito a scacchi; Jasper strimpellava con una chitarra (da poco aveva sviluppato una passione improvvisa per la musica); infine Rose pettinava dolcemente i riccioli di un angelo dai capelli ramati. L' angelo mi sorrise amichevole: mia figlia Renesmee, che ormai aveva l'aspetto di una quattordicenne pur avendo solo nove anni, adorava farsi spazzolare i capelli
Da quando ero nata ero sempre vissuta nel mio mondo e mia madre, con quella sua aria insoddisfatta che aveva tutte le volte che mi guardava, mi chiamava ‘Alice in Wonderland’ ; ma fin qui nulla di strano, in fondo ero solo una bimba chiusa e timida.


Le prime stranezze nel mio comportamento cominciarono a manifestarsi all’incirca quando avevo sedici anni, infatti, quando ero sola nella mia stanza o sotto il ciliegio in giardino, delle strane immagini mi affollavano la mente, come dei sogni ad occhi aperti improvvisi e inaspettati, veloci, fulminei ma soprattutto incomprensibili, vedevo i volti dei miei familiari, della servitù, ma anche di estranei visti alle feste, tutti mescolati in un formidabile intreccio di colori.

La cosa strana e allarmante era che poco tempo dopo che avevo avuto queste ‘visioni’ rivedevo qualcosa di simile nella realtà quotidiana, come un de-ja-vù. Quando ne parlai a Cynthia il suo unico commento fu ‘Torna nella realtà sorellina, soprattutto comincia ad andare a caccia di un marito!’

Ebbi queste esperienze molte volte, ma sempre indistinte e poco chiare, finché non compii diciotto anni.

Quello fu un anno ricco di emozioni e cambiamenti per me, e fu in quel periodo che la mia vita si capovolse come un calzino.

Avevo raggiunto la maggiore età e Cynthia, con la totale approvazione della mamma, non faceva altro che scarrozzarmi da un party all’altro. Mi sussurrava all’orecchio continui consigli per attrarre uomini, mi ficcava in mano un bicchiere di champagne dopo l’altro e mi presentava ad una miriade di ragazzi; tanto che, quando finalmente mi stendevo a letto, la testa mi girava come una trottola.

Le uscite con mia sorella non mi entusiasmavano affatto, ero troppo presa dalla strana malformazione della mia testa: i miei ‘sogni ad occhi aperti’ erano sempre più definiti e i de-ja-vù sempre più chiari e coincidenti con ciò che vedevo in precedenza, fu così che decisi di parlarne apertamente con mio padre; una decisione che si rivelò una delle peggiori delle mia vita.

Una sera in cui avrei dovuto andare ad una festa riuscii a sgattaiolare nel suo studio: qualche ora prima infatti avevo ‘visto’ il gatto di casa che, camminando sulla scrivania di mio padre, faceva cadere un prezioso vaso di porcellana. Mio padre mi accolse come al solito con un sorriso timido e mi fece cenno di accomodarmi. Non appena mi fui seduta le parole cominciarono ad uscirmi di bocca e gli raccontai tutto nei minimi dettagli, la tensione rendeva il mio discorso veloce e ricco di balbettii, tanto che, quando finalmente tacqui, mio padre mi guardava confuso.

Ad un tratto mia sorella arrivò nello studio come un uragano e dalla porta entrò il gatto, il quale saltò sulla scrivania e rovescio il vaso.

Tutto questo accadde in qualche istante e mia sorella mi prese per un braccio, infuriata sia per il vaso sia perché eravamo in ritardo, tuttavia riuscii a scorgere negli occhi di mio padre una paura e una consapevolezza che mi spaventarono molto.

Quella sera alle festa mi muovevo come un automa, facevo riverenze e pronunciavo formule di saluto, ma sembravo imbambolata, tanto che Cynthia mi schioccò più volte le dita davanti al naso per riportarmi alla realtà.

Stavamo per andarcene assieme agli altri invitati quando Cynthia, stranamente di malavoglia, mi presentò ad un ultima coppia di giovani uomini, il più basso dei quali attirò la mia attenzione: aveva i capelli castano chiaro come l’altro giovane, a dire il vero erano quasi identici tranne che per la statura e il colore degli occhi: lui li aveva azzurri e vivaci, mantre quelli dell’altro giovane erano molto dolci, marrone cioccolato. Cynthia li presentò come i fratelli Bright: Harry e Charles. Harry, il più grande, sembrava in imbarazzo di fronte a mia sorella e biascicava i soliti convenevoli senza avere il coraggio di fissarla nei freddi occhi neri.

Charles, il più giovane, aveva attirato da subito la mia attenzione perché non mi staccava gli occhi di dosso, quando lo guardai incuriosita abbassò la testa arrossendo, ma poi notai che, con la coda dell’occhio, continuava a sbirciarmi.

Più tardi in carrozza chiesi a mia sorella informazioni sui due fratelli, ma lei mi liquidò con un’alzata di spalle a tornò a ciarlare su un certo giovanotto che a suo dire era affascinante e molto ricco.

Ebbi l’occasione di parlare con Charles una settimana dopo, all’ennesima festa: ero scappata in terrazzo per sfuggire alle grinfie di mia sorella e stavo meditando sulle mie visioni, quando fui raggiunta da lui. Era un ragazzo adorabile e aveva grandi sogni, sentivo già di volergli bene. Parlando con lui venni a conoscenza del fatto che suo fratello era segretamente innamorato di Cynthia, ma consapevole di non poterla conquistare a causa della loro bassa condizione sociale. Gli spiegai che mia sorella avrebbe fatto soffrire Harry anche se lui fosse riuscito a sposarla, lei era davvero perfida!

Charles era un fratello meraviglioso, un amico fidato, un futuro imprenditore di successo, una persona splendida. Ricordai lo sguardo impaurito di mio padre e, con una profonda tristezza nel petto, capii che non era abbastanza forte da potermi sostenere nei miei problemi; e se Charles fosse stato in grado di aiutarmi? Potevo fidarmi di lui? Mi avrebbe capita? Avrebbe avuto paura?
Quelle domande mi frullavano in testa ormai da un po’ quando, una sera, decisi finalmente di fidarmi di Charles. Purtroppo non sapevo che di lì a poco il mondo che conoscevo mi sarebbe crollato addosso come un castello di carte”.
Qui Alice si interruppe. “Alice che ti succede? Perché non continui?” le chiesi preoccupata. “Non Non credo di riuscire a continuare Bella…questa parte della storia mi fa soffrire immensamente.” Il suo viso era così sconsolato che mi si chiuse la gola: cosa poteva esserle successo di così orribile da cancellarle dal volto l’immancabile sorriso?
Nacqui in una famiglia agiata dell'inizio del 20° secolo, precisamente nel 1925. Mio padre era un uomo di larghe vedute e, dalla baracca che aveva ereditato da quel fannullone di mio nonno, era riuscito a far nascere una fiorente industria tessile. Si chiamava Jeremy Brandon e io assomigliavo molto più a lui che a mia madre sia per carattere (eravamo entrambi timidi e silenziosi) che per abitudini (solevamo passeggiare in giardino o leggere nel piccolo gazebo sul retro).


Mia madre, Georgiana Brandon, era l'esatto opposto: arrampicatrice sociale, bella, frequentatrice attiva della società e delle feste mondane, dotata di una lingua tagliente e spesso responsabile di malelingue.

Avevo anche una sorella, che assomigliava a mia madre tanto quanto io ero simile a mio padre. Cynthia era paragonabile a Rosalie da umana, sia per bellezza che per carattere: era innamorata della ricchezza e passava di festa in festa lanciando occhiate eloquenti agli uomini in sala o dispensando sorrisini maliziosi a destra e a manca. Nessuno poteva dirle cosa doveva fare, nemmeno mia madre, che, nonostante ciò, continuava ad essere orgogliosa della sua volubile primogenita, che tanto le assomigliava.

Al contrario mia madre non riusciva a capire come una creatura tanto timida e insicura qual'ero io potesse essere uscita dal suo ventre. Da umana ero piuttosto insignificante e silenziosa, nessuno mi notava al fianco della mia splendida sorella, ma io non cercavo la notorietà o un buon marito, trovavo l felicità semplicemente nel guardare una farfalla, una foglia o la pioggia; avevo un'anima di bambina che si risvegliava soltanto quando le si affiancava uno spirito affine, quello spirito era mio padre, che era così simile a me da capirmi con un solo sguardo.

3 commenti:

  1. oddio k è succ?? xk è in disordine? vi sn arrivate le mail sbagliate? cavolo nn capisco! mi disp se erano in disordine... :( k casino scusatemi! :(

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  2. infatti nn si capisce nulla!!!!!!!
    mettetele in ordine vi prego...mi piace trpp la storia cmq...mooolto interessante....!!!!!!

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  3. grazie giulia! Primo commento e pure positivo! :)
    kmq vi rimando tt e 2 le parti e magari ank la terza...all'inizio c'è scritto parte 1 2 e 3 basta pubblicarle 1 di seguito all'altra :)

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